INTERNET e ADOLESCENZA: UN PENSIERO CRITICO

L’ultima metà del secolo appena trascorso è stata caratterizzata dal continuo susseguirsi d’innovazione tecnologica. Seguendo un ritmo costante, le nuove tecnologie sono entrate man mano a far parte della nostra vita quotidiana introducendo modificazioni radicali dell’ambiente in cui ci muoviamo e significativi cambiamenti del modo in cui interagiamo con gli altri. L’avvento di nuovi e sempre più potenti computer, smartphone, laptop e tablet ma sopratutto la diffusione dei nuovi media, attraverso la rete internet e il facile accesso che la caratterizza, ha comportato un cambiamento profondo nella comunicazione e nelle abitudini dell’uomo del terzo millennio. L’accesso ad internet è stato riconosciuto da costituzioni, leggi nazionali e risoluzioni del Parlamento Europeo e del Consiglio d’Europa come diritto fondamentale, in quanto si riconosce nella rete un portatore di conoscenza universale e quindi la si può considerare un bene comune globale. La rete è oggi una comunità globale costituita da miliardi d’individui che si connettono per lavorare, istruirsi ma sopratutto per trovare momenti di svago ed evadere dalla realtà di tutti i giorni. Uno dei principiali fautori del World Wide Web così come lo conosciamo oggi, Tim Berners Lee, sostiene che “..il Web è ben lungi dall’essere fatto, è solo in una fase ferraginosa di costruzione..”. Potremmo definire la rete delle reti come un enorme cantiere in corso di realizzazione che sfida l’umana immaginazione e le capacità di chi ogni giorno si addentra nell’immensità del cyberspazio. La ricerca sulla dipendenza da internet ha alle proprie spalle relativamente pochissimi anni di sviluppo e tutt’ora non esiste una visione univoca del problema benché i ricercatori si siano ingegnati nella costruzione di appositi reattivi e test basati sui metodi d’indagine proposti dai manuali diagnostici. Per meglio comprendere i comportamenti legati all’abuso d’internet, bisogna tornare indietro nel tempo fino al 1994, l’anno in cui la dottoressa Kimberly Young ricevette una telefonata da un’amica che le chiedeva un aiuto psicologico per suo marito, poiché questo passava tutto il suo tempo libero online, spingendola a pensare seriamente al divorzio. Fu questa telefonata ad avviare la dottoressa Young verso una serie di ricerche riguardo l’uso patologico della rete e la conseguente redazione di un questionario Young Diagnostic Questionnaire composto da otto domande, per individuare una eventuale dipendenza da internet. Si può quindi individuare in questa serie di eventi l’inizio del dibattito in merito all’uso patologico dei nuovi media. Internet ha finora accelerato in modo esponenziale il progresso tecnologico, reso “il tempo reale” l’unica dimensione temporale valida e compresso migliaia di chilometri alla distanza tra lo schermo di uno smartphone ed il volto dell’utente, rappresentando una vera e propria rivoluzione culturale e mediatica che ha neutralizzato spazi e distanze e mitigato i confini tra produttori di contenuti e semplici consumatori. Tuttavia è anche luogo di un vero e proprio paradosso mediatico, palesando una sorta di anomalia che capovolge il suo significato più intimo: gli intenti unificanti della rete, alla fine si sono fatti portatori di profonde e potenzialmente incolmabili divisioni. Mark Prensky coniò l’espressione nativo digitale nel suo articolo “Digital Natives, Digital Immigrants” pubblicato nel 2001 e diffusa in Italia dal saggio “Nativi digitali “ del 2011 di Paolo Ferri. Il termine è stato più volte rivisto dallo stesso autore ed è stato oggetto di diverse critiche soprattutto perché nessuna delle proposte di Prensky è stata supportata da dati scientifici. Nella sua prima stesura il termine identifica una persona che è cresciuta con le tecnologie digitali come i computer, Internet, telefoni cellulari e MP3 facendo riferimento alle persone nate negli USA dopo il 1985 come nuovo gruppo di studenti che accede al sistema dell’educazione. Per contro, chi non è nativo digitale ma utilizza le tecnologie si  definisce immigrato digitale. Quindi l’espressione sottolinea la costituzione di una robusta barriera generazionale tra nativi digitali e immigrati digitali: i primi alfabetizzati ai codici digitali, si chiudono in una sorta di “solipsismo internettiano”, comunicano a una diversa velocità e con altri linguaggi rispetto ai secondi, figli dell’epoca analogica, i quali sono costettti a calarsi in un nuovo ruolo, ma soprattutto in uno nuovo ambiente complesso e sostanzialmente sconosciuto, a causa di un diverso imprinting mediatico. Forse la divisione più importante nell’economia dell’analisi del fenomeno, è quella tra genitori e figli, in cui i primi sono sprovvisti dei basilari strumenti di controllo e tutela, mentre i secondi, abili e digitalmente autoctoni, sono esposti a tutte le potenziali insidie provenienti dal web e soprattutto, qualora si presentino, non comunicano a nessuno le criticità e le problematiche, più o meno gravi, che ne derivano. Appare comunque ingeneroso e intellettualmente scorretto, pur tenendo in considerazione tutti questi elementi, demonizzare il mezzo o la piattaforma che, in quanto declinazione digitale di un ambito sociale in cui coesistono il bene e il male, diffonde il dialogo tra questi ultimi che si palesa nella nostra quotidianità. Altrettanto sbagliato sarebbe glorificare la spinta democratizzante insita nella rete che legittima tutti a essere i poli di una comunicazione sempre in movimento. L’uso di internet si rivela avvincente quando ciò viene a scapito della genuina socievolezza della vita reale. Mi riferisco qui al fenomeno degli hikikomori, cioè l’estremo ritiro di giovani adulti ed adolescenti, nella propria stanza. Le caratteristiche intrinseche agli adolescenti ne fanno la fascia di popolazione maggiormente esposta alle insidie della rete.

L’adolescenza è una fase della vita ricca di cambiamenti a livello psico-fisico. I ragazzi cominciano a conoscere più da vicino il mondo degli adulti e sentono che vogliono farne parte. Cercano una maggiore indipendenza dalla famiglia di origine, rivolgendosi verso i coetanei, ritenuti più simili a sé. Nel gruppo di pari il giovane ha la possibilità di fare esperienza delle proprie capacità, di apprenderne di nuove, di ricercare delle sicurezze che sono venute meno a causa di tutti questi cambiamenti. La pubertà segna l’inizio dell’adolescenza. Oltre al cambiamento fisico, ci sono esperienze emozionali molto intense date dalle modificazioni corporee che impongono la ricerca di nuovi equilibri nei rapporti con gli altri e con il sé; anche la precocità del cambiamento rispetto ai coetanei o il suo ritardo può suscitare ansie ed incertezze. Questi cambiamenti fisici fanno si che l’individuo venga trattato dalle persone con cui entra in contatto in modo diverso da come veniva trattato da bambino; le richieste a lui rivolte, e le aspettative non sono più le stesse; ci si aspetta da lui un comportamento adulto ma lo si continua a considerare non del tutto autonomo. In questa fase l’adolescente è consapevole della modificazione delle sue relazioni e di conseguenza egli modifica il proprio atteggiamento verso sé stesso e il mondo circostante. Gli studenti, secondo la maggior parte delle ricerche intraprese finora, sviluppano problemi legati all’uso della rete: spesso sono ragazze e ragazzi solitari con tendenze all’introversione e alla scarsa stima in se stessi. Il progressivo ritiro dal mondo reale, per confinarsi in un mondo virtuale, diviene una sorta di rifugio della mente. Ciò consente alla persona d’evitare nella misura massima possibile le ferite narcisistiche e i sentimenti spiacevoli, come la colpa e la vergogna. Permette di liberarsi dei legami propri di ogni situazione di dipendenza matura, alimentando subdoli sentimenti d’autosufficienza e onnipotenza.

La condizione più grave è quella in cui l’internauta perde progressivamente ogni interesse per l’interazione con altri andando incontro ad una crescente desocializzazione dove non vi è traccia di un fine ultimo. L’internauta si perde nel surfing online rincorrendo una pura ricerca d’eccitamento che vada ad alleviare, almeno momentaneamente, gli effetti depressivi causati dall’eccessivo tempo speso online. Come nelle tossicodipendenze da sostanze, l’importante è stordirsi, scacciare il dolore psichico e l’angoscia del crollo. Stati d’eccitazione e di euforia possono manifestarsi al di fuori di dipendenze chimiche ed è dimostrato l’instaurarsi di una relazione di dipendenza fra un individuo e una particolare attività ripetuta compulsivamente. E’ importante sottolineare il fatto che una dipendenza da internet è fondamentalmente differente da qualsiasi altra dipendenza, chimica o tecnologica che sia, proprio a causa della natura estremamente informativa del mezzo. Sarebbe miope soffermarsi sugli effetti dannosi, lasciando in ombra le enormi opportunità offerte dalle realtà virtuali: la sterminata accessibilità all’informazione e alle possibilità di comunicazione globale e lo sviluppo di nuove possibilità nella crescita della ricerca scientifica sono la premessa di un universo della simulazione che promette di diventare sempre più sofisticato.

Internet è una fonte inesauribile di dati aperta a chiunque sia capace di maneggiarli e spesso capita che gli internet-dipendenti cerchino la soluzione ai loro problemi di dipendenza interrogando proprio quella che è la causa del loro malessere. Su Google , il più cliccato motore di ricerca al mondo la parola IAD (Internet Addiction Disorder) produce più di 7 milioni di risultati e non è raro che gli utenti abbiano trovato, facendo essi stessi una piccola ricerca sul web, informazioni più o meno corrette riguardo questo fenomeno e si siano in qualche modo avvicinati un po’ di più alla soluzione del proprio malessere.

La stessa D.ssa Kimberly Young offre terapie online da svolgere in video conferenza, e sono centinaia i forum sull’argomento. Non sarebbe ragionevole, inoltre enfatizzare i rischi di dipendenza patologica pensando che dedicare alcune ore al giorno in chat, visitare siti internet o partecipare a videogiochi sia necessariamente uno scherzare col fuoco. Il rischio di dipendenza non è superiore a quello che si corre nel lasciarsi assorbire dai programmi televisivi preferiti o nel sorseggiare una birra fresca con gli amici. Internet è sia un’attività piacevole che può sfuggire di mano, come qualsiasi altra attività che svolgiamo nel tempo libero e che sia uno sfogo per dipendenze preesistenti, che non devono essere trascurate prima di considerare la dipendenza dal medium come un fenomeno sé stante. Una internet-dipendenza in genere s’instaura in soggetti per cui una preesistente sofferenza mentale spinge ad approfittare delle suggestioni offerte dal media e dai videogiochi per sottrarsi all’ansia e alla fatica psichica prodotta dalle relazioni sociali. Sono proprio questi i casi che costituiscono la nuova sfida umana e scientifica per chi si appresta a studiare le psicopatologie del terzo millennio.

 E’ la società che cambia la tecnologia e non viceversa.

La storia e’ ricca di testimonianze e casi di resistenza al cambiamento e diffidenza verso le novità: le preoccupazioni che social media e videogiochi possano compromettere infanzia e adolescenza, causino danni neurologici, rovinino la vista, creino un’epidemia di obesità, riducano il sonno e scatenino la depressione permangono nella mente di molti. Il cambiamento determinato dalla tecnologia sta  in effetti trasformando radicalmente l’infanzia e l’adolescenza, cosicché i ragazzi accolgono le novità, mentre gli adulti non riescono a dare un senso a questo cambiamento e si sentono disorientati. Manca la consapevolezza del fatto che ogni generazione abbia giocato in modo diverso. Cosi l’infanzia 2.0 non e’ legittimata dagli adulti, più spesso sedotti dalla nostalgia della propria infanzia. Diventa quindi necessario guidare i ragazzi per arricchire di valori la dimensione digitale. L’Identità è legata al contesto storico: quella dei giovani di oggi è connessa alla rivoluzione digitale e poiché nei più giovani i valori vanno coltivati, gli adulti hanno il compito e il dovere di entrare nel mondo digitale dei ragazzi, esplorarlo, al fine di guidarli e incrementare con sistemi valoriali validi e persistenti questa nuova dimensione offerta dalla rete.   

Dott. Perri Marco

Psicologo Clinico specializzando in psicoterapia psicodrammatica.

Ha partecipato come formatore a diverse iniziative sul territorio per sensibilizzare riguardo la diffusione delle nuove tecnologie e le nuove dipendenze.

 E’ autore del testo: I.A.D. – Internet Addiction Disorder: critiche e perplessità. Review (Edizioni Accademiche Italiane, 2015)

Email: psyperri@gmail.com